Progetto di restauro del dipinto su tavola Adorazione Del Bambino di Piero Di Cosimo
Galleria Borghese, da febbraio a luglio 2017

La tavola, uno dei capolavori della Galleria Borghese, è documentata nella collezione per la prima volta in un inventario risalente all’epoca del cardinale Scipione Borghese (un tondo con la Madalena, cioè: la Madonna) che adora il figliuolo s. Giovannino in ginocchione, e doi angeli in piedi di diametro palmi 5 1/2. Incerto) e successivamente, nel 1693, registrata con la curiosa attribuzione a Giovanni Bellini. Più tardi, nel Fidecomisso del 1833, venne ritenuta opera di Raffaello e ancora, nel 1824, attribuita a Fra’ Bartolomeo. Il primo a proporre il nome dell’artista fiorentino fu nel 1870 Gustavo Frizzoni, seguito da altri studiosi fra cui Longhi, che ne attestarono l’autenticità.
La lettura formale dell’opera risulta piuttosto difficile a causa del suo precario stato di conservazione; accanto a parti completamente finite, quali il paesaggio, i vestiti, gli ornamenti degli angeli, si rilevano infatti aree che denunciano una evidente alterazione, come l’incarnato delle figure e, in particolare, quello del corpo del Bambino. È difficile stabilire se ciò sia il frutto di un infelice restauro del passato, eccessivamente radicale nella pulizia, oppure se la tavola sia rimasta incompiuta, mancante cioè delle ultime velature.
Il fascino maggiore del dipinto è affidato al bel brano paesaggistico dello sfondo, percepibile al termine del corridoio prospettico aperto al centro della composizione: la singolare intimità di quello squarcio panoramico restituisce il sentimento di una natura affettuosamente partecipe alla delicata scena dell’adorazione, a cui assistono anche due esili angeli tubicini; di grande potenza il bel controluce della tettoia dalle assi sconnesse in cui si riconosce tutta l’efficacia e la modernità dell’arte di Piero.
Anche la tradizionale iconografia dell’adorazione del Bambino convive con elementi inconsueti, caratteristici dell’estrema libertà d’invenzione dell’artista. Sullo sfondo, attraverso l’apertura della capanna, si scorge l’anziano Giuseppe, immerso nella dolcezza del paesaggio e curiosamente intento a pascolare il bue e l’asino, solitamente presenti all’interno del piccolo ricovero. Bene in vista sulla trave del tetto è l’uccello bianco, probabilmente una colomba, allusiva allo Spirito Santo disceso su Maria. La Vergine, vestita con la classica veste rossa e il manto blu recante sulla spalla destra la piccola stella di tradizione bizantina, è inginocchiata, ma la figura si erge in una singolare proporzione rispetto ai due angeli stanti. Al centro, vicino al Bambino, è il piccolo San Giovanni in preghiera, che ha significativamente passato al cugino la croce, prefigurandone la Passione futura. Dietro la Vergine si intravvede la sella, elemento che ricorda il viaggio dei due sposi, con lo straordinario piccolo dettaglio del topo
Come d’uso nella pittura toscana, il Bambino è adagiato su un lenzuolo bianco (forse un’allusione alla Sacra Sindone?) appoggiato su un sacco.
Il formato del dipinto suggerisce una committenza privata e, proprio per la sua particolare forma, allusiva al desco da parto (vassoio in legno dipinto su entrambe le facce, che veniva donato alla puerpera per servire il primo pasto corroborante dopo le fatiche del parto), è possibile che possa essere stato eseguito in occasione di una nascita. Questo tipo di dipinti, molto in voga in Toscana presso le famiglie di alto lignaggio, era richiesto ai maggiori artisti del tempo. Sappiamo, ad esempio, che alla morte di Lorenzo il Magnifico (1492), il desco con il Trionfo della Fama, commissionato nel 1448 dal padre Piero a Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, era ancora appeso nella sua camera.
La tavola è tradizionalmente riferita al periodo tardo dell’artista ed è ritenuta databile tra il 1510 e il 1512.
Il restauro è iniziato a febbraio 2017 e si è concluso a luglio 2017.
Il costo del progetto è stato di 10.400 euro, interamente sostenuto con fondi dell’Associazione.